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Moda green: il valore della collaborazione per la crescita sostenibile

Le nuove frontiere del Fashion consapevole tra circolarità e governance della filiera

 
Viktoriia Shiriaeva, Presales Specialist di Deda Stealth
 

Cosa intendiamo con "Sostenibile" oggi?

Oggi il concetto di sostenibilità non rappresenta più una novità del nostro quotidiano. Negli ultimi anni, infatti, questo termine si è fatto strada nei più svariati ambiti della letteratura: la chimica, la biologia, il diritto, l’economia l’architettura, il management e molto altro. Il significato intrinseco di “sostenibilità”, tuttavia, ha subito un’evoluzione spinta da diversi fattori: in primis dalla crescente consapevolezza della necessità di stabilire dei principi e degli strumenti che rendano la sostenibilità effettivamente tale. Dal 2014, infatti, il numero di ricerche su internet relative al termine è cresciuto e sono aumentate le discussioni sui social a riguardo. Il tema è diventato tanto di moda che ormai appare (quasi) banale e scontato sentirne parlare. Quello dello sviluppo sostenibile è un argomento importante dell’agenda di diversi settori industriali, incluso quello della moda. È una buona notizia, visto che ancora oggi l’industria Fashion è responsabile di circa il 10% delle emissioni di CO2 ed è la quarta categoria di consumo più elevata nell’Unione Europea per quanto riguarda il consumo di acqua e utilizzo di materie prime primarie.

Insieme a governi, Stati e cittadini, anche le aziende sono chiamate a fare la loro parte, e gli sforzi dell’Unione Europea nel sensibilizzare le imprese alla salvaguardia del pianeta sono in continua crescita. L’Agenda 2030 e i 17 obiettivi di Sviluppo Sostenibile ne sono una prova, così come il concetto di Social Corporate Responsibility introdotto dalla Commissione Europera nel 2001 e definita come “l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”. Una sfida, quindi, dagli intenti ben chiari: integrare nella roadmap degli obiettivi di business programmi di sviluppo sociale e di tutela ambientale.


 

Spesso si cade in errore pensando che la risposta alle sfide globali riguardi esclusivamente le grandi aziende. In realtà, a prescindere dalla sua dimensione, ogni impresa è parte di un ecosistema globalizzato dal quale attinge per immagazzinare risorse – non solo economiche – per portare avanti il proprio business. Ognuno, quindi, può fare la differenza e oggi, grazie all’innovazione tecnologica e alla ricerca, le aziende posso contare su diverse possibilità e alternative per includere nelle loro attività quotidiane anche l’aspetto della sostenibilità, contribuendo così alla generazione di valore per l’impresa e per il pianeta nel lungo periodo. L’industria moda, la cui catena di approvvigionamento impatta al 90% sull’ambiente, oggi ha a disposizione delle valide alternative che includono fibre tessili biodegradabili, rigenerate, o derivate da materiali di scarto, come nel caso di Orange Fiber, una giovane start up siciliana che ha realizzato un tipo di tessuto recuperando i residui prodotti dalle aziende di agrumi, oppure Apple Skin – vegan leather made in Italy. Infine, non è necessario utilizzare materie prime innovative, tante volte basta utilizzare delle tecniche di lavorazione diverse, per esempio tecniche di tintura dei tessuti che utilizzato meno acqua, oppure tecniche di tintura innovative con utilizzo dei batteri.

 
 

Siamo all’inizio di un percorso di cambiamento lungo e sfidante. Come mai siamo già stanchi di sentirne parlare:

 

Perché il proliferare di affermazioni generiche e claim come “green”, “ethic” e “environmentally friendly”, se non supportati da dati reali causano false aspettative e creano equivoci nel tempo, suscitando nei consumatori il crescente sospetto di “greenwashing” e una perdita di credibilità delle aziende. Le industrie, inclusa quella della moda, hanno un dovere nei confronti del consumatore, ossia compiere degli atti di onestà, comunicando correttamente e con trasparenza il loro impegno rispetto al tema della sostenibilità, e tenendo sempre a mente che lo sviluppo sostenibile non riguarda esclusivamente la salvaguardia del pianeta, ma è anche – e forse soprattutto – un’importante questione di carattere sociale e di governance.
La frenesia iniziale e la mancanza di solide direttive sulle modalità di comunicare la sostenibilità hanno un po’ rovinato il “gioco” per tutti, probabilmente neanche rendendosi conto; infatti, in tanti casi il greenwashing avviene per una comunicazione imprecisa e parziale, più che per vera intenzione di ingannare il consumatore.
Non c’è più tempo da perdere, bisogna guadagnarsi la fiducia dei consumatori e continuare a curarla.

 
 

Il pensiero positivo stimola l'azione

Ci sono due grandi categorie di pensiero sulla sostenibilità: la prima è orientata al problema, la seconda alla soluzione. Sui social la gente partecipa molto più volentieri alle conversazioni sulle soluzioni, che rappresentano, infatti, il 77% delle conversazioni totali sul tema. In questa fase storica, caratterizzata dal sentimento della disillusione, le forme di protesta attuate dagli attivisti del clima risultano spesso estreme e fuori luogo, tanto da suscitare rabbia e disgusto di fronte alle scene di strade bloccate o opere d’arte danneggiate. Tuttavia, queste azioni permeate da emozioni negative, quali la paura del futuro, l’incertezza o la prepotenza non stimolano il consumatore ad agire e, al contrario, provocano in lui un senso di colpa. Questo, però, è solo uno degli ultimi motivatori nella spinta verso scelte e comportamenti sostenibili. Al contrario, il benessere che percepiamo ogni qualvolta compiamo un gesto semplice come evitare di far scorrere l’acqua mentre ci si lava i denti, o a beneficio dell’ambiente utilizziamo stoviglie biodegradabili durante un picnic, è frutto di un sentimento positivo, ossia la speranza che, a sua volta, ispira l’azione. Dalle ricerche compiute da Pulsar Trac, infatti, risulta che la speranza sia uno dei motivatori più forti e rilevanti che spingono le persone a compiere azioni sostenibili.

 

Moda e sostenibilità: elementi per una combinazione possibile

Il cambiamento climatico ha sicuramente reso evidente che il nostro modello di consumo non può funzionare ancora per molto. Secondo uno studio condotto dalla EEA (European Environment Agency), abbigliamento, calzature e tessile rappresentano la quarta categoria di consumo più elevata nell'UE, dopo cibo, alloggio e trasporti, in materia di utilizzo di acqua, suolo ed energia. Fortunatamente, a fronte di queste evidenze, i consumatori sono sempre più consapevoli ed esigenti e non cercano unicamente capi belli da indossare, bensì abiti e accessori prodotti senza compromettere le condizioni del pianeta e la sicurezza dei dipendenti. Inoltre, le persone sono molto più attente agli sprechi, alla gestione dei rifiuti e ai problemi di sovrapproduzione.

 

Basti pensare che ogni anno i volumi di produzione totali dell’industria moda aumentano del 2.7%. La consapevolezza che un cambio di rotta è necessario è sempre più diffusa tra i brand del Fashion, e sono diversi i marchi impegnati nella promozione di un cambiamento significativo, nonostante la strada non sia del tutto spianata. A 10 anni dalla tragedia di Rana Plaza l’industria della moda, infatti, ha fatto passi avanti, ma la pressione per una filiera più rispettosa dell’equilibrio del pianeta e del benessere dei lavoratori è sempre più alta. Si può affermare che il concetto di moda sostenibile si inserisce bene in un concetto più ampio di società sostenibile: sì, perché la sostenibilità è prima di tutto cultura e la cultura è trainata dalle persone.

 

Recentemente abbiamo partecipato al PI Apparel Supply Chain Forum ad Amsterdam, un evento interamente dedicato alla supply chain della moda. Già dai partner presenti con i loro stand, era facile intuire la priorità di questo momento storico per l’industria Fashion: tutte le soluzioni proposte erano mirate alla gestione della supply chain in varie coniugazioni, dalla tracciabilità alla collaborazione e integrazione. Nel contesto dell’evento, abbiamo avuto anche l’occasione di organizzare un Think Tank, e grazie alle osservazioni e agli interventi fatti dai partecipanti, abbiamo scoperto che ci sono delle legislazioni in arrivo in alcuni paesi di cui si sente ancora parlare poco (es. Danimarca, Olanda, Svezia). Benché al momento queste normative siano circoscritte nel territorio interno, sono sempre volte a migliorare la tracciabilità e la sostenibilità della supply chain dei prodotti venduti nei vari paesi europei, per questo motivo è importante essere informati ed arrivare preparati quando sarà il momento di adeguarsi a tali norme e legislazioni. C’è sicuramente grande interesse e anche una diffusa comprensione del problema nel settore, e questo è sicuramente un ottimo indicatore dell’importanza delle tematiche per il settore moda. Tuttavia diverse sfide attendono i brand della moda e c’è ancora molta strada da fare, il 2030 non è poi così lontano e non bisogna perdere tempo.

 

In Deda Stealth stiamo osservando con attenzione le esigenze del mercato per quanto riguarda la sostenibilità, creando soluzioni ottimali per la tracciabilità e la trasparenza della supply chain. Sicuramente c’è ancora molta strada da fare per l’industria della moda, ma noi abbiamo già accettato questa sfida e vogliamo supportare questa trasformazione così necessaria, anche in collaborazione con altri partner ed enti qualificati. L’innovazione tecnologica può e deve necessariamente essere parte attiva della soluzione, insieme alla trasformazione dell’industria stessa.

Viktoriia Shiriaeva Presales Specialist di Deda Stealth